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Questo volume affronta il tema, sempre attuale, del rapporto fra norma di legge e uso a essa contrario. Ciò, in riferimento alla prima fase dell’esperienza giuridica romana quando, nonostante fosse entrata in vigore la grande codificazione decemvirale (legge delle XII tavole), alcuni precetti da questa prescritti furono ben presto, di fatto, disapplicati dalla prassi dei consociati. L’autore dimostra come i processi desuetudinari, allora in atto, non possano essere perfettamente assimilati a quelli oggi conosciuti, poiché nel diritto romano arcaico alla consuetudo contra legem sembra mancare, quasi sempre, il requisito della spontaneità. Si trattava di prassi etero-indotte: dalla giurisprudenza, per lo più, il cui apporto pare addirittura essere (anche) formalmente indispensabile ai fini della caduta in disuso di norme che dettassero la disciplina di riti solenni, negoziali e processuali. È questo, in particolare, il caso del precetto che, nell’ambito della legis actio sacramenti in rem, imponeva alle parti di svolgere il rito del manum conserere davanti al magistrato: la modifica, successivamente introdotta contro il dettato della legge decemvirale, non può spiegarsi se non ipotizzando l’apporto tecnico dei giuristi-pontefici, pronunciatisi anzi, nell’occasione, a mezzo di un decretum dell’intero collegio.
9788834350201
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