Dopo un decennio di relativa stabilità, l’America Latina è oggi scossa da un’ondata di rivolte che nemmeno la pandemia è riuscita a disinnescare. Dal Cile alla Bolivia, dalla Colombia al Nicaragua, al Brasile, l’equilibrio precario scricchiola e il malcontento occupa le piazze. È un movimento inarrestabile, che si inquadra nel tormentato contesto globale, ma le cui radici profonde affondano nel passato recente della regione e nei suoi nodi irrisolti. Chiusa la cruenta stagione delle dittature, l’America Latina ha costruito sistemi istituzionali basati sull’alternanza, ha messo in ordine i principali indicatori macroeconomici, ha attuato strategie nazionali per ridurre, almeno un po’, la feroce diseguaglianza. Nonostante ciò, resta ancora intrappolata nella dipendenza dall’esportazione di materie prime. Ed è questo sistema, eredità del passato coloniale, ad assoggettarla ancora in modo drammatico alle brusche oscillazioni dei mercati internazionali. La rivolta può davvero segnare una svolta? La risposta rimane incerta, ma di sicuro le giovani democrazie latinoamericane sono alle prese con la loro prima effettiva crisi di crescita. Un percorso non lineare, difficile, estenuante, rischioso. Ma inesorabilmente in atto. Il cui esito, ancora non scritto, si gioca sul filo tra cronaca e storia.
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